Ancora un caso di eutanasia in Italia

Ancora un caso di eutanasia in Italia

“Amo la vita ed ecco perché oggi la voglio abbandonare. Quella che attualmente ho vissuto poteva andare anche bene, ma in un futuro prossimo so che sarà intollerabile per me!”.

Queste sono le tragiche parole scritte su Facebook da Davide Macciocco, un uomo di 40 anni nativo di Termoli (Molise), che da vent’anni si trova sulla sedia a rotelle ed è affetto da tetraplegia, a causa di un incidente scaturito da un tuffo in mare fatto dall’altezza di sei metri.

Davide, qualche giorno fa, ha deciso di porre fine alla sua vita tramite suicidio assistito nella clinica Dignitas di Zurigo.

Le parole che lui ha scritto sono molto dure, tragiche, e denotano uno stato d’animo di grandissima sofferenza e una speranza scomparsa oramai del tutto.

“Il mio corpo era bloccato ma la mia mente correva. Con il passare degli anni però la vita è andata sempre peggiorando moralmente e fisicamente senza cercare mai di far pesare questo ad altri”, scrive Davide.

“Il dolore non è quello che dici, è quello che taci purtroppo – continua il quarantenne termolese –. La vita è un diritto, non un obbligo. Ciò che conta è vivere con dignità, con decoro e senza paura. Il mio futuro non sarebbe vita, ma sopravvivenza fatta anche di solitudine e di dolori fisicamente intollerabili”.

Parole che hanno suscitato grande commozione e affetto, ma anche l’attenzione della Chiesa locale, la quale ha commentato la vicenda per bocca di mons. Gianfranco De Luca, vescovo della Diocesi di Termoli-Larino:

“la vita è un dono, e quindi anche un compito, una responsabilità, una vocazione che viene da Lui, e come tale va vissuta – scrive mons. De Luca –. La mia fede riconosce quindi il senso positivo della vita umana come un valore in sé, che la luce della fede conferma e valorizza nella sua dignità”.

Per il vescovo, il caso tragico e doloroso di Davide ricorda la centralità della cura e del sostegno del malato, la cui libertà è fortemente condizionata dalla malattia di cui è affetto.

In ragione di ciò, la comunità cristiana e in generale la società sono chiamate a formare sempre più e sempre meglio una “comunità sanante”, per rimediare almeno in parte alle mancanze di cui sono affetti i soggetti più deboli, a causa dell’età o della malattia.

Le parole assai significative pronunciate da mons. De Luca ricordano a noi che la ricerca di un senso da dare alla propria vita è una questione centrale che deve interrogarci quotidianamente.

La vita non è un diritto, perché non siamo noi a decidere di venire al mondo e soltanto in parte tale decisione spetta ai nostri genitori.

Ebbene, se la vita è dunque un dono, come ricorda mons. De Luca, essa è anche “un compito, una responsabilità, una vocazione che viene da Lui, e come tale va vissuta”.

Una società sana è una società che viene incontro all’altro; che cura e sana, e soprattutto che insegna a curare e a sanare il prossimo.

Una società che inserisce nei propri ordinamenti il diritto a morire è una società che implicitamente promuove il diritto a morire.

Come abbiamo avuto modo più volte di ripeterti, tutto ciò, oltre ad essere intollerabile, potrebbe prestarsi in futuro a pericolose derive in presenza di pandemie, crisi del debito, contenimento della spesa pubblica ecc.

Finché avremo fiato possiamo garantirti che non daremo tregua a ipotesi simili e sosterremo sempre e soltanto un unico diritto: quello alla vita.

Ti chiediamo di sostenere moralmente e materialmente il nostro sforzo e di essere al nostro fianco in questa battaglia dura, sanguinosa, ma necessaria.


“Amo la vita ed ecco perché oggi la voglio abbandonare. Quella che attualmente ho vissuto poteva andare anche bene, ma in un futuro prossimo so che sarà intollerabile per me!”.

Queste sono le tragiche parole scritte su Facebook da Davide Macciocco, un uomo di 40 anni nativo di Termoli (Molise), che da vent’anni si trova sulla sedia a rotelle ed è affetto da tetraplegia, a causa di un incidente scaturito da un tuffo in mare fatto dall’altezza di sei metri.

Davide, qualche giorno fa, ha deciso di porre fine alla sua vita tramite suicidio assistito nella clinica Dignitas di Zurigo.

Le parole che lui ha scritto sono molto dure, tragiche, e denotano uno stato d’animo di grandissima sofferenza e una speranza scomparsa oramai del tutto.

“Il mio corpo era bloccato ma la mia mente correva. Con il passare degli anni però la vita è andata sempre peggiorando moralmente e fisicamente senza cercare mai di far pesare questo ad altri”, scrive Davide.

“Il dolore non è quello che dici, è quello che taci purtroppo – continua il quarantenne termolese –. La vita è un diritto, non un obbligo. Ciò che conta è vivere con dignità, con decoro e senza paura. Il mio futuro non sarebbe vita, ma sopravvivenza fatta anche di solitudine e di dolori fisicamente intollerabili”.

Parole che hanno suscitato grande commozione e affetto, ma anche l’attenzione della Chiesa locale, la quale ha commentato la vicenda per bocca di mons. Gianfranco De Luca, vescovo della Diocesi di Termoli-Larino:

“la vita è un dono, e quindi anche un compito, una responsabilità, una vocazione che viene da Lui, e come tale va vissuta – scrive mons. De Luca –. La mia fede riconosce quindi il senso positivo della vita umana come un valore in sé, che la luce della fede conferma e valorizza nella sua dignità”.

Per il vescovo, il caso tragico e doloroso di Davide ricorda la centralità della cura e del sostegno del malato, la cui libertà è fortemente condizionata dalla malattia di cui è affetto.

In ragione di ciò, la comunità cristiana e in generale la società sono chiamate a formare sempre più e sempre meglio una “comunità sanante”, per rimediare almeno in parte alle mancanze di cui sono affetti i soggetti più deboli, a causa dell’età o della malattia.

Le parole assai significative pronunciate da mons. De Luca ricordano a noi che la ricerca di un senso da dare alla propria vita è una questione centrale che deve interrogarci quotidianamente.

La vita non è un diritto, perché non siamo noi a decidere di venire al mondo e soltanto in parte tale decisione spetta ai nostri genitori.

Ebbene, se la vita è dunque un dono, come ricorda mons. De Luca, essa è anche “un compito, una responsabilità, una vocazione che viene da Lui, e come tale va vissuta”.

Una società sana è una società che viene incontro all’altro; che cura e sana, e soprattutto che insegna a curare e a sanare il prossimo.

Una società che inserisce nei propri ordinamenti il diritto a morire è una società che implicitamente promuove il diritto a morire.

Come abbiamo avuto modo più volte di ripeterti, tutto ciò, oltre ad essere intollerabile, potrebbe prestarsi in futuro a pericolose derive in presenza di pandemie, crisi del debito, contenimento della spesa pubblica ecc.

Finché avremo fiato possiamo garantirti che non daremo tregua a ipotesi simili e sosterremo sempre e soltanto un unico diritto: quello alla vita.

Ti chiediamo di sostenere moralmente e materialmente il nostro sforzo e di essere al nostro fianco in questa battaglia dura, sanguinosa, ma necessaria.


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