“Barbie”, il film di una società allo sbando
Quest’oggi desidero parlarti di quello che si appresta ad essere il vero e proprio caso cinematografico dell’estate – ma alcuni si spingono a dire dell’intero 2023 –, ossia del film “Barbie”, uscito nelle sale cinematografiche il 20 luglio e che a pochi giorni dal lancio ha già riscosso incassi da record.
E secondo te, potevano mai mancare in un film del genere riferimenti al “patriarcato”, alla cultura “gender fluid” e a tutti gli stereotipi politicamente corretti del momento?
Ovviamente, no!
Ma facciamo un passo indietro, per comprendere l’operazione politico-commerciale che vi è dietro la produzione di questo film.
Iniziamo intanto col ricordare che nel 1921, il critico cinematografico Ricciotto Canudo definì il cinema come la “settima arte”, dopo la poesia, la pittura, la scultura, la musica, la danza e l’architettura.
E, con tutta evidenza, al pari delle altre essa risente ed è influenzata dallo spirito del tempo.
Ma la cosa più importante che fa Canudo è quella di darci una definizione di insuperata maestria circa la funzione dell’arte:
«L’arte non è la rappresentazione dei fatti reali, è l’evocazione dei sentimenti che avvolgono i fatti».
Se comprendi bene cosa significa ciò, ebbene indosserai le lenti adatte per decifrare il film “Barbie”.
Ma, adesso, diamo la parola a chi il film l’ha visto:
«Barbie è un film in cui i villain (cattivi) sono gli uomini – scrive Grazia Sambruna su Fanpage.it – Non perché a livello oggettivo facciano qualcosa di male, ma semplicemente in quanto tali.
Nell’universo “perfetto” di Barbieland, i Ken (si chiamano tutti così, ovviamente, come le loro controparti femminili) sono tutti degli imbecilli buoni a nulla. Se questo, inizialmente, provoca più di una risata, alla lunga stanca.
Mentre Barbie è Presidente, medico, netturbina, astronauta, Premio Nobel… Ken è, ad andar bene, “spiaggia”, convinto pure che sia un lavoro. Muscoli, birra e risse, Ken non è nient’altro, non sa fare nient’altro. Non ha nemmeno una casa o, almeno, nessuna ha mai pensato a dove possa abitare. Non è rilevante».
Davvero difficile non scorgere in queste brevi “pennellate”, una proiezione di una “umanità rinnovata” ad immagine e somiglianza della donna, contro la “terribile cultura patriarcale” che ha dominata da sempre la società.
E infatti, nel film il concetto di “patriarcato” è sempre evocato ed è costantemente presente sullo sfondo.
Tant’è che l’autrice dell’articolo rileva che «il film tiene a ribadire come e quanto il nemico sia l’uomo. Tocca fare fronte compatto per distruggerlo. Nemmeno una storia d’amore eterosessuale è contemplata, non sarebbe un lieto fine per nessuna delle coinvolte.
Non a caso la BBC tra le recensioni alla pellicola riporta anche il Daily con il suo “An anti-man movie”, un film anti-uomo. Alla stregua di una mina, praticamente».
Ragione per cui l’autrice sottolinea che Barbie, alla fin fine «è un film che promuove una grande, grandissima solitudine come unico modello di vita vincente. Una solitudine estrema, quasi aggressiva, che mira a fagocitare qualunque rapporto sentimentale in virtù di un bene più grande: combattere il patriarcato».
In questa solitudine siderale – che sarebbe più appropriato definire egoismo –, in cui regna un’apparente solidarietà solo tra donne l’unica Barbie “troppo strana” è non a caso una donna incinta (Midge), «considerata da tutte una specie di paria per via di quel pancione», che richiama l’alterità, il dono, la complementarità (e non l’uguaglianza), la cooperazione etc.
«Sarebbe stato bello, se non assai utile, che entrambi si aiutassero a vicenda
a comprendere quale potesse essere la loro strada, partendo, tra l’altro, dalla stessa situazione iniziale: sono bambole, non umani. Invece no, Ken va condannato, Barbie eletta regina. Per nascita», aggiunge sagacemente l’autrice.
Che sfodera poi una superba sintesi di ciò che ha rappresentato per lei la visione del film di cui ci stiamo occupando:
«Barbie è un distorto Manifesto del Partito Femminista adornato con glitter, battute e canzoncine catchy. Se volete spegnere il cervello per due ore, Barbie è sicuramente il film che fa per voi. E che il “pinkwashing” vi sia lieve».
Pur non avendo visto il film, ma soltanto il trailer, crediamo che sia la definizione più giusta da dare a questa operazione politico-commerciale di indiscutibile successo mediatico ed economico, come dicevamo in apertura.
Si tratta di un bellissimo specchio dei “contro-ideali”
della società del nostro tempo, in cui dietro la patina del presunto ribellismo e della pseudo-cultura alternativa, si cela soltanto un grandissimo egoismo ed una “civiltà dell’immagine” (Paolo VI) in cui l’essere umano è ridotto a merce.
Non so la tua opinione, ma la immaginiamo!
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