Indi non c’è più
La piccola Indi è ufficialmente deceduta. “La vita di Indi è finita all’01:45, io e Claire siamo arrabbiati, con il cuore spezzato, pieni di vergogna”, è il messaggio inviato dal padre Dean Gregory agli avvocati.
Il servizio sanitario nazionale inglese, oltre a toglierle la vita, le ha tolto “anche la dignità di morire nella casa di famiglia a cui apparteneva”. Tuttavia, prosegue l’uomo, non sono riusciti a prendersi la sua anima.
Nei giorni scorsi, in un’intervista rilasciata a La Nuova Bussola Quotidiana, Dean Gregory aveva ammesso: “Non sono religioso e non sono battezzato. Ma quando ero in tribunale mi sembrava di essere stato trascinato all’inferno. Ho pensato che se l’inferno esiste, allora deve esistere anche il paradiso.
Era come se il diavolo fosse lì. Ho pensato che se esiste il diavolo allora deve esistere Dio. (…) Non può esistere un inferno senza un paradiso e io voglio che Indi vada in paradiso, per questo l’ho fatta battezzare”.
L’atto di fede della famiglia di Indi tuttavia non cancella la pericolosa deriva nichilista dimostrata dal sistema sanitario e dalla giustizia inglesi.
Ancora una volta, noi e il mondo intero abbiamo assistito a qualcosa di profondamente disumano. Un atto che accade in pieno Occidente nel XXI secolo, e che dice molto sugli effetti nefasti che può produrre una concezione di progresso calibrata soltanto materialmente.
“L’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione – ricordava Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate.
Senza la prospettiva di una vita eterna, il progresso umano in questo mondo rimane privo di respiro. Chiuso dentro la storia, esso è esposto al rischio di ridursi al solo incremento dell’avere” (Caritas in veritate, n. 11).
Oggi noi abbiamo avuto, purtroppo, dimostrazione concreta della profonda saggezza di queste parole. Nell’opinione pubblica generale, infatti, non sono pochi coloro che iniziano a parlare espressamente del “costo sociale” che un malato terminale produce per la collettività.
È esattamente ciò che da tempo ormai denunciamo apertamente. Il caso della piccola Indi Gregory deve spingerci a guardare oltre. Ovvero, al baratro verso cui ci stiamo rapidamente avvicinando, se non si blocca sul nascere questa valanga letale che si batte per la “libertà di morire”.
Una volta conquistato questo falso diritto e aver gradualmente addomesticato le coscienze, nulla ci tiene al sicuro (anzi!) dal pensare che gli atti eutanasici potranno essere imposti a ciascuno di noi, in presenza di malattie di un certo peso, sulla base di criteri “assolutamente scientifici”, soprattutto in presenza di epidemie o di “superiori ragioni di Stato”.
Così come è accaduto alla piccola Indi e ad altre giovanissime e giovani vittime di questo sistema omicida.
Ecco la ragione per cui bisogna svegliarsi e dirigere finalmente lo sguardo verso la Luna e non verso il proprio dito.
Aggiungiamo ancora un delitto sulla coscienza di un Occidente profondamente malato.
Ci stringiamo attorno alla famiglia di Indi, porgendo le nostro più sentite condoglianze alla madre Claire e al padre Dean e una preghiera per l’anima della piccola Indi.
Un’ultima cosa: è questo il momento per farci sentire con ancora più forza nei confronti del Regno Unito. Se non l’hai già fatto, ti invitiamo a firmare la petizione di protesta indirizzata all’ambasciatore del Regno Unito in Italia.
Non devono passarla liscia!