Bambini come cavie: la pressione delle società pro gender per una legge senza limiti
Di fronte al dibattito sulla cosiddetta “transizione di genere” nei minori, è necessario fermarsi e guardare in faccia la realtà: in gioco ci sono bambini e adolescenti.
Al centro della discussione vi è una forte pressione esercitata da alcune società scientifiche e associazioni affinché la legge diventi sempre più permissiva, fino a garantire l’accesso ai trattamenti di “affermazione di genere” anche ai bambini.
Il contesto è quello del disegno di legge 2575, presentato dai ministri della Salute, Orazio Schillaci, e della Famiglia, Eugenia Roccella, che introduce criteri più stringenti sull’uso dei farmaci per la disforia di genere.
Eppure, proprio questo tentativo di maggiore prudenza viene giudicato “insufficiente” da otto società scientifiche e associazioni italiane, che hanno diffuso un comunicato congiunto per chiedere una norma ancora più aperta e allineata alle raccomandazioni del Consiglio d’Europa.
Chi sono queste realtà? L’elenco è significativo:
– Associazione culturale pediatri (ACP)
– Federazione italiana di sessuologia scientifica (FISS)
– Osservatorio nazionale identità di genere (ONIG)
– Società italiana di andrologia e medicina della sessualità (SIAMS)
– Società italiana di endocrinologia (SIE)
– Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica (SIEDP)
– Società italiana ginecologia dell’infanzia e dell’adolescenza (SIGIA)
– Società italiana genere, identità e salute (SIGIS)
Otto soggetti che, parlando a nome della “scienza”, chiedono esplicitamente che l’accesso alle cure per persone transgender e gender diverse sia garantito indipendentemente dall’età, quindi anche ai minori.
Il tutto viene giustificato come necessario per “promuovere il benessere” e per non essere condizionati da “ideologie”. Ma qui emerge una contraddizione profonda!
Da un lato, queste associazioni accusano la politica di ideologizzare il tema; dall’altro, sostengono un approccio che nega la realtà biologica del corpo sessuato e attribuisce valore terapeutico a interventi che rispondono a percezioni soggettive, spesso transitorie.
Numerosi studi – e persino il DSM-V (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) – attestano che nella maggior parte dei casi il disagio legato all’identità di genere in età evolutiva si risolve spontaneamente con la pubertà.
Nonostante ciò, l’approccio noto come “modello affermativo dell’identità di genere” viene proposto come unica strada, ignorando alternative meno invasive e più prudenti.
In un contesto così delicato, dove informazioni parziali e narrazioni semplificate rischiano di diventare verità indiscusse, nasce l’esigenza di informare davvero.
Per questo, vogliamo lanciare una grande campagna di sensibilizzazione online per spiegare a tutti cosa sta accadendo, quali sono le posizioni in campo, quali i rischi reali per la salute dei minori. Ma per farlo, abbiamo bisogno del tuo aiuto!
Il tuo contributo, anche piccolo, sarà fondamentale per proteggere la salute dei bambini.
Il punto più allarmante riguarda le linee guida internazionali invocate da queste otto società, in particolare quelle dell’Endocrine Society e della WPATH (già coinvolta in uno scandalo per i suoi esperimenti su bambini e ragazzini sessualmente confusi).
Linee guida che prevedono l’uso dei bloccanti della pubertà già ai primissimi segni dello sviluppo puberale, la successiva somministrazione di ormoni cross-sex e, in alcuni casi, interventi chirurgici.
Tutti trattamenti associati a rischi significativi e spesso irreversibili, come sottolineato anche da recenti rapporti del Dipartimento della Salute statunitense.
Non solo! Le otto società chiedono anche che, in attesa della nuova legge, si continui a fare riferimento alla determina AIFA del 2019, che consente l’uso off-label della triptorelina per bloccare la pubertà.
Contestano l’idea di sottoporre queste pratiche al vaglio di un Comitato etico nazionale, sostenendo che ciò rallenterebbe l’accesso alle cure.
Ma è proprio qui che emerge il nodo centrale: la pubertà viene descritta come un problema da fermare, come se un processo fisiologico naturale fosse una patologia.
Questa impostazione ribalta completamente il senso della medicina. Chiamare tutto questo “non ideologico” significa svuotare le parole del loro significato.
E impone a tutti – cittadini, genitori, educatori – una domanda semplice ma decisiva: chi sta davvero tutelando la salute dei minori?
Per questo, oggi più che mai, è necessario scegliere da che parte stare!
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La salute dei più piccoli viene prima di tutto: difenderla oggi significa assumersi una responsabilità verso il loro futuro.