Con questa natalità il sistema pensionistico salta

Con questa natalità il sistema pensionistico salta

Sono cadute sotto silenzio le parole pronunciate dal ministro dell’Economia Giorgetti, il quale dal palco del meeting di Rimini, qualche giorno fa, ha detto chiaramente che:

«Non c'è nessuna riforma o misura previdenziale che tiene nel medio e lungo periodo con i numeri della natalità che vediamo oggi in questo Paese».

Parole che dovrebbero far rabbrividire; che dovrebbero suscitare nell’opinione pubblico un grande dibattito su come riuscire a venire fuori da questa strettoia mortale.

Eppure, a parte qualche testata giornalistica e rete televisiva, nulla si è sentito in merito.

È come se la questione della natalità non sfiorasse minimamente le preoccupazioni di ampia parte della classe politica, giornalistica ed intellettuale di questo Paese.

E lo sai perché avviene tutto ciò?

Perché siamo sotto la “cappa” (come l’ha giustamente definita Marcello Veneziani in uno dei suoi ultimi libri) del politicamente corretto che proibisce di discutere di questo tema poiché intravede le conseguenze che potrebbero venire fuori.

Perché siamo onesti: la questione della natalità non dipende soltanto dalla messa a disposizione di più asili nido, dal lavoro stabile e sicuro, dall’aumento dei salari bassi e bloccati dal 1990…

Tutte cose importantissime, per carità, di cui la classe politica dovrebbe, anzi “deve” farsi carico inderogabilmente, se vuole dare un futuro a questo Paese.

Tuttavia, dietro questi aspetti fondamentali e necessari del vivere, non può essere negato il ruolo che gioca il fattore culturale che gli sta alla base e che interessa non solo le donne, ma anche gli uomini naturalmente.

La prova di quello che stiamo dicendo?

Molto semplice.

Prova a domandarti in quale anno l’Italia ha avuto il tasso di fecondità più alto – dal dopoguerra ad oggi – e scoprirai delle cose molto interessanti.

Secondo Our World In Data, sito web di statistica a cui collabora una squadra di ricercatori dell’Università di Oxford, il tasso di fecondità maggiore (numero figli per donna) nel nostro Paese, dal 1850 ad oggi, è stato toccato nel 1946 (3,01) e sia pur in leggero ripiegamento, nei due anni immediatamente successivi.

Constata da te la veridicità di questi dati, nella tabella che presenta la demografia storica italiana visitando questo link.

Ebbene, cosa se ne può dedurre?

Molto probabilmente che la tragedia della guerra appena conclusa aveva contribuito in maniera unica a cementare lo spirito di comunità e ad instillare il desiderio di vita nella martoriata popolazione italiana.

Spirito di comunità che postula innanzitutto uno spirito di sacrificio dinanzi alle sfide della vita e, quindi, spirito di mortificazione dinanzi a beni che possono risultare piacevoli, ma che sono superflui dinanzi alla necessità di mettere al mondo e crescere delle nuove vite.

Far spazio alla vita altrui, del resto, significa ridurre lo spazio del nostro ego, a tutti i livelli: esistenziale, economico, sociale…

Far crescere questa consapevolezza tra i giovani significa accompagnare le misure fiscali e lavorative fornendo ad esse una base culturale solida, senza la quale qualsiasi misura fiscale migliorativa, nulla o quasi risolverebbe.

E la prova di quanto affermo ce la fornisce lo stato di salute demografica dei Paesi occidentali che contano i sistemi di welfare più avanzato, come gli Stati scandinavi, che praticamente presentano un tasso di fecondità simile al nostro.

Ennesima dimostrazione del fatto che il contributo che noi possiamo e dobbiamo dare è quello di aiutare a costruire questo orizzonte culturale di ampio respiro, ma necessario.

Per fare tutto ciò è necessario che tu sia al nostro fianco e sostenga anche economicamente lo sforzo che siamo chiamati a compiere per il futuro del nostro Paese, ossia per il futuro della società dei tuoi figli e nipoti.

Siamo infatti chiamati a rimboccarci le maniche e a costruire la società del futuro con coraggio, forza e speranza!


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