
Il caso di Noelia: quando la giustizia spegne la Vita, invece di difenderla
Noelia, 24 anni, paraplegica, ha ottenuto il via libera all’eutanasia contro il volere del padre.
Un tribunale ha deciso che la sua vita può essere interrotta perché è “capace di intendere e di volere”. Ma è davvero questa la civiltà a cui aspiriamo?
Una società che anziché accompagnare, curare, amare, aiuta a morire. Una legge che si trasforma in una condanna silenziosa per chi soffre.
Il dolore non si elimina con la morte, ma con la vicinanza, con il sostegno, con la speranza. Invece, la risposta è la resa, la soluzione più comoda: premere un interruttore e spegnere una vita.
E il padre, colui che la ama più di tutti, che lotta per tenerla in vita, viene zittito, umiliato, addirittura condannato a pagare le spese legali per aver cercato di difendere sua figlia dalla disperazione.
È questo il progresso? Un tribunale che decreta che un padre non ha più voce sulla vita della propria figlia, ma che lo Stato sì, lo Stato può decidere che il suo dolore è motivo sufficiente per decretarne la fine?
Oggi è Noelia, domani chi sarà? Un malato terminale, un anziano considerato un peso, una persona disabile che non si sente più accettata?
Stiamo scivolando in un abisso pericoloso, dove il valore della vita diventa relativo, dove il concetto stesso di dignità umana viene pervertito e trasformato in una condanna a morte travestita da "scelta".
L’eutanasia non è libertà! È il fallimento di una società che non sa più prendersi cura dei suoi figli, è la resa di un mondo che invece di combattere il dolore, si accontenta di eliminarlo insieme alla persona che lo prova.
La morte non può essere la risposta alla sofferenza! La vera civiltà sta nel prendersi cura, nel dare speranza, nell’accompagnare con amore.
Perché la vita, ogni vita, ha un valore infinito. E nessun tribunale potrà mai cambiare questa verità!