L'eutanasia non è il rimedio alla disperazione

L'eutanasia non è il rimedio alla disperazione

La decisione di ricorrere all’eutanasia non è mai una scelta libera e responsabile.

Ci sentiamo di dire ciò con piena consapevolezza e con il dovuto rispetto per chi decide di imboccare questa terribile strada.

Pochi giorni fa abbiamo appreso della morte per eutanasia dell’ennesimo cittadino italiano. Si tratta dell’ottantenne bellunese nativo di Lozzo di Cadore Luigi Baldovin.

Da anni alle prese con una malattia difficile e dopo un’intera vita dedicata alla montagna, ha deciso di porre fine alle sue sofferenze recandosi in Svizzera e decidendo così di farla finita.

La stampa locale nota che la decisione di morire ha lasciato “tutti sgomenti” in paese. A maggior ragione se si considera che Luigi Baldovin era un uomo di sfide e avventure tutt’altro che facili.

“Tra le sue imprese più leggendarie, un viaggio in Afghanistan a bordo di un Maggiolino e la traversata di una via sulle Marmarole, con gli sci ai piedi, che lo ha reso uno dei primi a compiere quell’impresa”, si apprende da un quotidiano locale.

Eppure, davanti ad una sfida come quella per la vita, Luigi ha “scelto” la morte. E utilizziamo le virgolette non a caso. Sarebbe meglio dire: è stato scelto da uno stato d’animo che non gli permetteva di sperare.

Sperare in cosa? È la domanda che molti potrebbero farsi. Nella, sia pur importante, “sola” guarigione?

A questo punto abbiamo l’obbligo di fare una premessa: nessuno qui può farsi “maestro” di qualcosa o di qualcuno.

È evidente che bisogna trovarvisi in quelle condizioni per poter comprendere sino in fondo cosa significa vivere in un determinato stato, per poter toccare con mano delle situazioni che appaiono critiche, per non dire catastrofiche.

Resta comunque un fatto che non possiamo eludere.

Noi, insieme a qualsiasi altro uomo sulla faccia della terra, siamo “impossibilitati” per ragione e istinto (per natura dunque) a scegliere la morte.

L’uomo è impossibilitato a farsi del male, perché l’istinto di sopravvivenza, di difesa della propria vita è parte inscindibile di lui, è iscritto nel suo DNA.

Cosa genera il cortocircuito allora? Quale elemento dà forza alla “non-scelta” di morire?

Sicuramente la situazione che ci si trova a vivere crea una forte sollecitazione a trovare un rimedio, ma l’elemento decisivo che spinge all’azione è la mancanza di speranza, ossia la disperazione.

Nello stato di disperazione si sperimenta in massimo grado la “desolazione”, attraverso “le tenebre dell’anima, il suo turbamento, l’inclinazione verso cose basse e
terrene, l’inquietudine di varie agitazioni e tentazioni, che la portano a sfiducia senza speranza, senza amore, ritrovandosi l’anima tutta pigra, tiepida, triste, e come separata dal suo Creatore e Signore”
(Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, n. 317).

La descrizione che dà Sant’Ignazio della desolazione corrisponde precisamente a ciò che conduce alla disperazione e che alla lunga potrebbe sfociare in una forma depressiva.

È proprio questa cronicizzazione di un malessere che porta a “violare” quell’amore per la vita inscritto nell’uomo, nelle sue fibre.

Ed è forse superfluo ricordarti che quando entra in te e in me la desolazione, i pensieri o i diversi stati d’animo che serpeggiano nella nostra mente sono sotto l’influenza degli spiriti maligni, ricorda sant’Ignazio di Loyola, motivo per cui non dobbiamo acconsentire ad essi in alcun modo, anzi…

Sant’Ignazio ci dice che dobbiamo “agere contra”, cioè controbattere con una forza uguale e contraria, dedicando maggior tempo, ad esempio, alla preghiera o alla lettura e meditazione di testi sacri.

È evidente dunque come la sfida più grande dell’essere umano sia tutta interna al suo cuore, alla sua mente e alla sua anima.

Se noi ci concentrassimo già a partire da oggi a questa “sfida”, che è quella decisiva, invece che ad altre, ebbene troveremmo le risorse spirituali e morali per fronteggiare possibili situazioni che potrebbero accadere, ma che possono nondimeno essere santificate e sfruttate per il bene.

Il maggior rimedio per combattere le pratiche eutanasiche e il suicidio assistito consiste nell’affidarsi a Qualcuno e a investire nella speranza, senza la quale l’essere umano è condannato alla disperazione, al fallimento di un’intera esistenza per mancanza di senso.

Queste cose vanno dette, vanno gridate nella pubblica piazza senza remore e timori. È assolutamente necessario che noi, in questo contesto storico in particolare, compiamo questo sforzo decisivo, importantissimo.

Aiutaci a contrastare i tentativi di rendere il suicidio legge dello stato.

Le persone più fragili e vulnerabili hanno bisogno di aiuto, di assistenza, di sollievo… in una sola parola: hanno bisogno di speranza.

Non farcela mancare!


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