Mons. Paglia e la “mediazione giuridica” sul suicidio assistito

Mons. Paglia e la “mediazione giuridica” sul suicidio assistito

In questi giorni stanno facendo discutere le parole pronunciate il 19 aprile da mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, al Festival del Giornalismo di Perugia.

«Non è da escludersi – ha affermato il presule – che nella nostra società sia praticabile una mediazione giuridica che consenta l’assistenza al suicidio nelle condizioni precisate dalla Sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale (…).

Personalmente non praticherei l’assistenza al suicidio, ma comprendo che una mediazione giuridica possa costituire il maggior bene comune concretamente possibile nelle condizioni in cui ci troviamo».

A tali dichiarazioni sono seguite diverse polemiche, a cui la Pontificia Accademia per la Vita ha risposto attraverso un comunicato, in cui si legge:

«Mons. Paglia ha spiegato che a suo avviso è possibile una “mediazione giuridica” (non certo morale) nella direzione indicata dalla Sentenza, mantenendo il reato e le condizioni in cui si depenalizza, in quanto la medesima Corte Costituzionale ha chiesto al Parlamento di legiferare».

Quali sono le condizioni a cui si fa riferimento, cioè le condizioni previste dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale?

La persona deve essere

– «tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale
– affetta da una patologia irreversibile,
– fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma
– pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli»

La cosa che ha suscitato diverse perplessità in molti fedeli è consistita in un certo spirito di resa che sembra essere affiorato dalle parole di mons. Paglia, prima ancora di combattere la battaglia.

Ti ricordiamo che Giovanni Paolo II ha definito l’eutanasia come una «grave violazione della Legge di Dio» (Lett. enc., Evangelium Vitae, n. 65).

Inoltre, condividere l’intenzione suicida di un’altra persona e collaborare alla sua realizzazione mediante “suicidio assistito”, secondo il Pontefice «significa farsi collaboratori, e qualche volta attori in prima persona, di un’ingiustizia, che non può mai essere giustificata, neppure quando fosse richiesta» (n. 66).

Quanto ricordato dal Papa polacco non è qualcosa di isolato, bensì appartiene al Magistero della Chiesa ed è conforme alla ragione naturale.

E non basta precisare che proporre una “mediazione giuridica” non implica essere personalmente favorevole all’eutanasia.

Non può esservi iato tra diritto positivo e diritto naturale.

«Il diritto positivo deve sforzarsi di attuare le esigenze del diritto naturale. Lo fa sia in forma di conclusione (il diritto naturale vieta l’omicidio, il diritto positivo proibisce l’aborto), sia in forma di determinazione (il diritto naturale prescrive di punire i colpevoli, il diritto penale positivo determina le pene da applicare per ogni categoria di delitti)» (Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale…, n. 91).

Non dobbiamo mai dimenticarci del fatto che vivere in una democrazia pluralista e quindi in una società dove convivono differenti opinioni e stili di vita, non implica un’accettazione del relativismo etico.

La verità non la “fa” la maggioranza parlamentare del momento sulla base dei venti dell’opinione pubblica, altrimenti si esporrebbe la società a rischi gravissimi.

Ecco quanto affermava Benedetto XVI nel 2007:

«Quando sono in gioco le esigenze fondamentali della dignità della persona umana, della sua vita, dell’istituzione familiare, dell’equità dell'ordinamento sociale, cioè i diritti fondamentali dell’uomo, nessuna legge fatta dagli uomini può sovvertire la norma scritta dal Creatore nel cuore dell'uomo, senza che la società stessa venga drammaticamente colpita in ciò che costituisce la sua base irrinunciabile.

La legge naturale diventa così la vera garanzia offerta ad ognuno per vivere libero e rispettato nella sua dignità, e difeso da ogni manipolazione ideologica e da ogni arbitrio e sopruso del più forte».

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