Suicidio assistito: la giornalista Laura Santi è morta nella sua casa a Perugia

Suicidio assistito: la giornalista Laura Santi è morta nella sua casa a Perugia

Dopo anni di dolore e un iter burocratico e giudiziario estenuante, Laura Santi, giornalista perugina affetta da sclerosi multipla, ha deciso di porre fine alla sua vita con il suicidio assistito.

Accanto a lei, il marito. Attorno a lei, una società che – nel silenzio – spesso non sa o non vuole offrire alternative concrete, umane, compassionevoli.

Ma possiamo davvero chiamare “diritto” ciò che nasce dalla solitudine, dall’abbandono e dalla disperazione?

La vita di Laura – come quella di tanti malati gravi – non avrebbe dovuto terminare con una flebo letale. Doveva essere sostenuta da un sistema sanitario forte, capace di prendersi cura delle persone nella loro fragilità, di offrire cure palliative degne, presenza costante, ascolto vero. 

Invece, l’accesso alla morte è stato garantito prima e più facilmente dell’accesso a una rete reale di sollievo.

Oggi qualcuno chiama questa tragedia “libertà”. 

Ma che libertà è quella che nasce dalla sofferenza insopportabile e da uno Stato che si limita a fornire il farmaco per morire? È giustizia questa? O è resa?

Non possiamo ignorare il dramma umano che c’è dietro ogni richiesta di morte. Ma proprio per questo dobbiamo avere il coraggio di dire che la risposta non può essere una siringa, ma una mano tesa.

Chi soffre ha bisogno di cure. Non di scorciatoie!

La vera sfida della medicina non è accorciare la vita, ma accompagnarla – tutta intera – senza accanimento, ma con amore.

Perché ogni vita vale, anche quando fa male, anche quando chiede aiuto. E proprio allora, la risposta giusta non è una fine anticipata, ma una presenza viva!

 

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