Darsi la morte non è mai una “soluzione”!

Darsi la morte non è mai una “soluzione”!

“Nella perdurante assenza di una legge che regoli la materia i requisiti per l’accesso al suicidio assistito restano quelli stabiliti dalla sentenza n. 242 del 2019, compresa la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, il cui significato deve però essere correttamente interpretato in conformità alla ratio sottostante a quella sentenza”.

Si è espressa con queste parole la Corte Costituzionale nella sentenza resa pubblica quest’oggi, avente ad oggetto, ancora una volta, le condizioni di ammissibilità alla pratica del suicidio assistito.

La Consulta ha altresì ritenuto “non fondate” le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Gip di Firenze, relative all’art. 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio), “che miravano a estendere l’area della non punibilità del suicidio assistito oltre i confini stabiliti dalla Corte con la precedente sentenza del 2019”.

I requisiti attualmente previsti dalla Consulta per poter fare richiesta di accesso al suicidio assistito restano dunque i medesimi (“(a) irreversibilità della patologia, (b) presenza di sofferenze fisiche o psicologiche, che il paziente reputa intollerabili, (c) dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, (d) capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli), i quali devono essere accertati dal Servizio Sanitario Nazionale.

La decisione più importante adottata dalla Corte riguarda, però, il pronunciamento in merito alla “dipendenza da trattamenti di sostegno vitale”, requisito che secondo la Consulta non determina “irragionevoli disparità di trattamento tra i pazienti”, come invece aveva sostenuto il Gip e sulla cui base aveva richiesto la rimozione di tale elemento dal novero dei requisiti.

Inoltre, la Consulta si è premunita anche di specificare che per trattamenti di sostegno vitali devono intendersi tutte quelle procedure “in concreto necessarie ad assicurare l’espletamento di funzioni vitali del paziente, al punto che la loro omissione o interruzione determinerebbe prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo”.

È necessario, infine, secondo la Corte, operare un bilanciamento fra la tutela della vita “portatrice di una inalienabile dignità” e la sfera di autodeterminazione della persona.

Cosa dire, dunque, in merito a questo pronunciamento a della Corte Costituzionale?

Che viene sostanzialmente confermata la disciplina attuale, ovvero quella espressa dalla sentenza n. 242 del 2019, meglio nota come “sentenza Cappato”.

Viene però riaffermata l’opportunità della presenza del requisito relativo alla dipendenza dai trattamenti di sostegno vitale e, soprattutto, ne viene meglio precisata la nozione, di contro ai radicali e a tutti coloro che volevano sbarazzarsene o estenderla ad libitum al fine di depotenziarla (giacché, così facendo, anche un
semplice bicchiere d’acqua potrebbe essere considerato come un trattamento di sostegno vitale).

Tuttavia, bisogna anche ricordare che, come rileva Avvenire, l’interpretazione di trattamenti di sostegno vitale che offre la Corte è più estesa di quella che recentemente ha dato lo stesso Comitato Nazionale per la Bioetica.

Secondo la Corte, infatti, tale interpretazione si basa sul “riconoscimento del diritto fondamentale del paziente a rifiutare ogni trattamento sanitario praticato sul proprio corpo, indipendentemente dal suo grado di complessità tecnica e di invasività”.

Nessuna esultanza dunque, semmai una presa d’atto che poteva accadere di peggio, ma che per il momento ciò non è ancora accaduto.

È necessario quindi ripartire da alcuni spunti positivi che vengono ricordati nella sentenza, tra i quali quello “che dal diritto alla vita, garantito dall’art. 2 CEDU, non può essere fatto discendere il diritto di rinunciare a vivere, e dunque un vero e proprio diritto a morire”.

O, ancora, che “ogni vita è portatrice di una inalienabile dignità”.

Potremmo fermarci qui e ricordare che basterebbe soffermarsi a fondo su questa grande verità per far cadere tutto il castello di carte che è stato allestito.

Per il sol fatto che la vita, che ogni vita sia portatrice di una inalienabile dignità, non è logicamente ammissibile né tantomeno comprensibile come si possa soltanto lontanamente pensare che a quella stessa vita possa venire offerta come “soluzione” la morte.

Ecco perché ti chiediamo di aiutarci a combattere contro questa difficile ma necessaria battaglia di civiltà. Aiutaci a costruire una società libera dalla schiavitù della disperazione: perché di questo si tratta.

Aiutaci a costruire una società nuova, nella quale si riscopra il valore del prendersi cura dell’altro, avendo davanti agli occhi l’immagine del Buon Pastore, “mite ed umile di cuore”, per sconfiggere la disperazione che attanaglia la società contemporanea e ridare certezza e speranza anche a chi soffre terribili mali.

Ti salutiamo con una delle righe più belle tratte dal giuramento di Ippocrate nella sua formulazione originaria (V secolo a.C.), prima che venisse anch’esso sottoposto a modifiche per essere “adeguato” all’odierno spirito dei tempi.

“Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recar danno e offesa.

Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo”.


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