La guerra degli abortisti contro il diritto all’obiezione di coscienza

La guerra degli abortisti contro il diritto all’obiezione di coscienza

L’aborto non è una normale prestazione medica.

Il mainstream cerca di farcelo credere. Ma non è così. Non rientra neppure nella definizione di “assistenza sanitaria”.

Se si trattasse di assistenza sanitaria, si cercherebbe di ridurre l’incidenza del fenomeno, approfondendone le cause e studiandone i rimedi.

Invece l’aumento degli aborti registrato in Italia nel giro di un anno (+ 3,2% tra il 2021 e il 2022) non ha fatto scattare nessun campanello d’allarme, come avverrebbe con qualsiasi altra patologia.

Perché l’aborto non è una patologia. Consiste in tutt’altro ovvero nell’eliminazione intenzionale del nascituro, quindi di un bambino non ancora nato, nel grembo materno.

Da ciò risulta evidente come non si tratti di una “cura” come tante altre. Prova ne sia il fatto che, a differenza delle terapie, si compie nel più completo anonimato.

La donna non vuol far sapere di avere abortito, perché sa con tale gesto di aver negato la Vita ed un futuro a proprio figlio.

“Sindrome post-aborto” è un termine clinico, che descrive una realtà angosciante ovvero il rimorso ed il dolore della donna, quando capisce di aver preso la decisione sbagliata.

Solo che a quel punto è troppo tardi. Può pentirsene, ma non può più tornare indietro. Può solo vivere la dimensione del rimpianto.

Porterà nel suo cuore questo pesante fardello per il resto della sua vita. Vi dovrà fare i conti ogni giorno.

Le statistiche rivelano come il 42% delle donne, che hanno abortito prima dei 25 anni, soffrano di depressione.

La metà di coloro che erano minorenni, quando hanno deciso di eliminare il loro figlio in grembo, covano idee suicide.

L’aborto è spesso legato a precarietà affettiva, economica e psicologica. È un’esperienza tragica, la peggiore che possa capitare. E non va sottovalutata.

Eppure oggi c’è chi, come i Radicali, vuole rendere ancora più permissiva in Italia la legge 194 sull’aborto, consentendolo in pratica fino alla nascita.

Fermiamo questo ennesimo attacco alla Vita! Non arrendiamoci all’ideologia di morte! Noi possiamo fare qualcosa di concreto…

Ti proponiamo due modi molto efficaci per portare avanti questa battaglia. Il primo consiste nel firmare la petizione «No all’estensione dell’aborto!», promossa da Generazione Voglio Vivere.

È indirizzata al ministro per la Famiglia, Eugenia Roccella, affinché in sede governativa scongiuri tale eventualità ed incentivi, piuttosto, la natalità.

Per rendere questa petizione ancora più forte e incisiva, intendiamo supportarla, lanciando una vasta campagna di sensibilizzazione.

I social consentono di raggiungere tanti in poco tempo, ma hanno un costo, di cui da soli non riusciremmo a farcene carico. Per questo, abbiamo bisogno del tuo aiuto!

È urgente, perché oggi si cerca di imbavagliare anche le voci del dissenso. Come? Ad esempio, tentando di abolire l’obiezione di coscienza.

Lo ha chiesto lo scorso 18 luglio il Collegio nazionale dei Ginecologi e Ostetrici francesi: ha raccomandato di togliere tale clausola dalla legge Veil del 1975, che legalizzò l’aborto Oltralpe.

Ed ha chiesto anche che le donne candidate ad eliminare il proprio figlio in grembo vengano indirizzate verso un medico disposto ad intervenire «nel più breve tempo possibile».

Orribile, non trovi? Secondo i ginecologi francesi l’obiezione di coscienza sarebbe «giuridicamente superflua».

In realtà, chiedono che tale diritto venga eliminato, solo per poter così costringere tutti i colleghi a praticare aborti.

Non a caso la loro tesi coincide pienamente con quella sostenuta da «Planning familial» e dalla Federazione Internazionale «Planned Parenthood».

Si tratta delle più importanti reti abortiste operanti rispettivamente in Francia e nel mondo. Non lo trovi quanto meno sospetto?

Secondo loro, la clausola dell’obiezione di coscienza rappresenterebbe un «freno all’accesso all’aborto» e, come tale, andrebbe eliminata.

Il loro obiettivo è paradossalmente quello di trasformare nella testa della gente la libertà di coscienza in una sorta di “colpa morale”.

Dopo l’abolizione del periodo di riflessione inizialmente previsto e l’allungamento dei termini legali per praticare l’aborto, ora si cerca anche di calpestare la coscienza delle persone.

Delle cause profonde, che possano indurre una donna ad uccidere il figlio in grembo – come precarietà, isolamento, pressioni sociali, mancanza di sostegno – non gliene importa nulla.

Definire l’aborto una scelta libera equivale a negare l’angoscia che comporta e soprattutto negare il diritto fondamentale alla Vita del nascituro.

Allo stesso modo eliminare l’obiezione di coscienza significa oltrepassare una linea rossa, quella oltre la quale la medicina smette di curare e si limita ad eseguire ordini.

Col pretesto della compassione, si vogliono cancellare i limiti etici, che ricordano il valore inalienabile di ogni vita umana.

Salviamo la vita dei nostri figli ed il nostro futuro!

 

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