Aborto farmacologico a casa: la Sardegna sulla scia pericolosa dell’Emilia-Romagna!

Aborto farmacologico a casa: la Sardegna sulla scia pericolosa dell’Emilia-Romagna!

Con sconcerto e profonda preoccupazione assistiamo alla decisione della Regione Sardegna di aprire le porte all’aborto farmacologico fuori dagli ospedali, nei consultori pubblici e persino con l’assunzione del farmaco a domicilio.

Una scelta che viene presentata come un progresso “virtuoso” e “moderno”, ma che in realtà spalanca scenari drammatici sul piano etico, sociale e sanitario.

Dopo oltre dieci anni di silenzio, la Sardegna si allinea alle “pratiche più avanzate” solo in apparenza.

In verità, si adotta un modello che spersonalizza la donna, riduce l’atto dell’interruzione di gravidanza a un automatismo farmacologico, da compiere in solitudine, senza assistenza medica immediata, senza reale supporto psicologico.

L'Emilia-Romagna è stata la prima a sperimentare l’assunzione domiciliare dei farmaci abortivi. 

Ora la Sardegna imbocca lo stesso percorso, ignorando i rischi concreti per la salute fisica e mentale delle donne e banalizzando l’aborto a un gesto “rapido e indolore”. Ma non è così!

I dati ufficiali usati per giustificare questa svolta evidenziano una realtà ben diversa: in Sardegna l’accesso all’aborto chirurgico è ancora molto alto, con un tasso di raschiamenti tre volte superiore alla media nazionale (21% contro il 7,2%) e un uso massiccio del ricovero ordinario (11,9% contro il 5%).

Per questo è urgente mobilitarsi! Se non l’hai ancora fatto, firma subito la petizione “Fermiamo l’aborto chimico!”, promossa da Generazione Voglio Vivere, per chiedere lo stop immediato a questa deriva pericolosa.

Fai sentire la tua voce contro un sistema che abbandona la donna nel momento più fragile della sua vita!

Ma non basta! Per far arrivare questo messaggio a milioni di persone, stiamo portando avanti una vasta campagna di sensibilizzazione online, soprattutto su Facebook, dove ogni donazione ci permette di raggiungere centinaia di nuovi cittadini.

Se anche tu credi nel valore della vita e nella verità da diffondere, aiutaci con una donazione. Anche pochi euro possono fare la differenza!

E mentre si parla di “modernizzazione”, si dimenticano le donne che, dopo aver assunto la pillola abortiva da sole in casa, hanno vissuto momenti di angoscia, dolore fisico e trauma emotivo, senza alcuna guida accanto.

“Ho avuto forti emorragie, crampi insopportabili e il senso di colpa mi ha tolto il sonno per mesi. Pensavo fosse semplice. Mi hanno detto che sarebbe stato come un ciclo un po’ più abbondante. Nessuno mi ha detto che mi sarei sentita morire, e da sola” – racconta Giulia, 28 anni, che ha abortito a casa con la pillola RU486.

La sua testimonianza, come quella di tante altre donne, smentisce la narrazione “indolore” dell’aborto farmacologico e ci ricorda che dietro ogni interruzione c’è una ferita, spesso profonda e nascosta.

Piuttosto che rafforzare la prevenzione, migliorare l’assistenza alla maternità difficile, sostenere le donne in condizioni di fragilità, si sceglie la scorciatoia più facile: rendere l’aborto sempre più accessibile, sempre più invisibile, sempre più “domestico”.

L’aborto non è mai una soluzione, e trattarlo come un’opzione ambulatoriale o peggio, da “prendere a casa”, è un grave passo indietro nella civiltà della cura, del rispetto della vita, della dignità umana. 

Dov’è la medicina che cura? Dov’è la società che accompagna? Dov’è lo Stato che protegge?

La Sardegna, come tutta l'Italia, ha il dovere di essere un baluardo della vita, non un laboratorio per la cultura della morte mascherata da progresso.

Non possiamo restare spettatori davanti a una svolta che segna un pericoloso arretramento umano e civile. Il silenzio di oggi potrebbe diventare il rimorso di domani.

Ogni vita difesa è una vittoria contro un sistema che ha dimenticato l’umanità. Non possiamo indietreggiare!

 

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