Bruxelles nega i fondi alle associazioni pro famiglia. Il motivo? Sono anti gender
Ci sentiamo profondamente sconcertato nel vedere che un’istituzione come la Commissione Europea abbia scelto di negare fondi a un’organizzazione impegnata da anni nella difesa della famiglia naturale, come la Federazione europea delle associazioni familiari cattoliche (FAFCE).
Una decisione che non nasce da criteri tecnici, né da reali mancanze progettuali, ma da una valutazione ideologica.
Secondo i documenti ufficiali, l’associazione, che da oltre vent’anni rappresenta circa 30 associazioni di famiglie in 20 paesi, avrebbe un approccio “potenzialmente in contrasto” con le politiche europee in materia di uguaglianza e inclusione.
Una frase che, letta con attenzione, significa una sola cosa: chi non si allinea completamente all’impianto culturale promosso dall’UE viene escluso, indipendentemente dal valore sociale del suo lavoro.
Per capire questa esclusione bisogna guardare al quadro normativo.
Negli ultimi anni la Commissione ha definito una serie di strategie e programmi che interpretano la questione dell’uguaglianza in modo sempre più rigido, inserendo riferimenti all’identità di genere e all’orientamento sessuale come criteri centrali di valutazione.
Non più semplici tutele antidiscriminazione, ma veri e propri parametri ideologici: per accedere ai fondi bisogna dimostrare di sostenerli attivamente.
Chi propone una visione diversa – come quella della famiglia fondata sull’unione tra un uomo e una donna – non è più considerato “alternativo”, ma addirittura “non compatibile”.
La famiglia naturale, pilastro di ogni società, viene sempre più spesso trattata come un residuo da sorvegliare, un potenziale ostacolo a una nuova visione culturale che pretende di riscrivere la realtà biologica in nome dell’ideologia di genere.
E allora, quando dall’alto delle istituzioni dell’Unione viene snaturata la visione della famiglia, allora è giusto reagire, alzare la voce, rifiutare quell’onda che cerca di cancellare la priorità della famiglia naturale.
Per questo, desideriamo condividere con te un invito concreto: se non l’hai ancora fatto, firma subito la petizione “NO alla Strategia LGBTIQ+ 2026-2030!” promossa da Generazione Voglio Vivere.
E’ un gesto che va oltre la lamentela: è una presa di posizione reale per dire che non resteremo in silenzio.
Ma non basta firmare! Serve informare e far conoscere la verità che i grandi media tacciono.
Per questo, vogliamo potenziare la nostra grande campagna di sensibilizzazione online per mostrare a milioni di cittadini cosa sta accadendo a Bruxelles. Ma per renderla davvero efficace, abbiamo bisogno del tuo aiuto!
Anche un piccolo contributo mi aiuterà a diffondere la verità e a costruire una rete di cittadini consapevoli e liberi. Contiamo su di te!
A rendere ancora più evidente la deriva è la testimonianza di Paolo Borchia, capo delegazione della Lega al Parlamento europeo.
Borchia ha denunciato pubblicamente questa decisione: «Bruxelles sta discriminando la famiglia perché non aderisce all’ideologia gender; è un segnale pericoloso che indebolisce il ruolo naturale della famiglia».
Questa vicenda non è solo un problema di bilanci o di procedure. È molto di più: è una battaglia culturale!
Perché se accettiamo che l’adesione all’agenda gender diventi la condizione per ottenere fondi, allora chi decide quali valori contano? Chi stabilisce quali visioni di società sono ammissibili e quali devono essere escluse?
È esattamente ciò che denuncia ancora Borchia: non vengono penalizzate proposte deboli, ma valori ritenuti “non conformi”.
E allora parlare di famiglia naturale diventa quasi un atto di resistenza civile.
Ma la verità è semplice: la famiglia non è un tema divisivo! È il luogo in cui impariamo ad amare, dove nascono le nuove generazioni, dove si costruisce il tessuto affettivo e demografico dell’Europa.
Ridurre questo valore a un’opzione politica da approvare o respingere significa ignorare la realtà, cancellare la storia e indebolire le basi stesse della società.
Ciò che è in gioco non è un finanziamento, ma la direzione culturale che l’Europa sceglierà per il proprio futuro — un futuro che dipende anche da noi.